Gravidanza e colesterolo “buono”

La gravidanza sarebbe associata a una diminuzione dei livelli di colesterolo “buono” (cioè HDL) che persisterebbe fino a 10 anni dopo il parto. Questo è quanto sostiene uno studio condotto dai ricercatori del Kaiser Permanente Medical Center di Oakland, in California, pubblicato sull’American Journal of Epidemiology.

Studi precedenti avevano documentato una diminuzione dei livelli di colesterolo HDL durante i due anni successivi alla gravidanza. Per esaminare la relazione fra colesterolo e gestazione, i ricercatori statunitensi hanno coinvolto 1952 donne nel Coronary Artery Risk Development in Young Adults Study. Dall’analisi dei campioni di sangue è emerso che le donne che avevano dato alla luce un figlio mostravano una significativa riduzione dei valori di colesterolo HDL, rispetto a quelle che non avevano avuto gravidanze. La cosa risultava essere ancora più marcata per chi aveva avuto più di una gravidanza. I cambiamenti nei valori ormonali e nei depositi di grasso sembrano essere i fattori responsabili di tale andamento.

“Fattori genetici, cambiamenti nella distribuzione dei grassi e abitudini comportamentali, come l’allattamento al seno”, commenta la coordinatrice dello studio Erica Gunderson, “potrebbero esercitare degli effetti negativi sui valori di colesterolo. Sicuramente tali fattori andranno esaminati con ulteriori studi”.

Bibliografia. Gunderson EP, Lewis CE, Murtaugh MA et al. Long-term plasma lipid changes associated with a first birth: the Coronary Artery Risk Development in Young Adults study. Am J Epidemiol 2004;159:1028-39.

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Saltare la colazione fa male al cuore?

A quanto pare il vecchio adagio secondo il quale “la colazione è il più importante dei pasti quotidiani” ha una sua plausibilità: uno studio pubblicato sul Journal of Clinical Nutrition suggerisce che saltare la colazione può rappresentare un rischio per il cuore.
Un team di ricercatori inglesi ha scoperto che in un gruppo di giovani donne in salute la mancanza di una colazione equilibrata causava un innalzamento dei livelli di colesterolo e una diminuzione della reattività all’insulina, l’ormone che regola i livelli di zucchero nel sangue. Oltretutto, le pazienti tendevano ad assumere cibi più calorici durante le giornate iniziate senza colazione, il che ha comportato ovviamente un aumento del peso corporeo.

“Già altri studi precedenti avevano dimostrato che chi fa una colazione a base di cereali ha livelli di colesterolo e insulina più bassi”, spiega Hamid R. Farshchi, leader del team di ricercatori, “e i nuovi dati ci suggeriscono che trovare il tempo per fare colazione a lungo andare ha dei concreti benefici per il cuore”.

Lo studio ha coinvolto 10 giovani donne dal peso nella norma che sono state divise in due gruppi che hanno seguito regimi dietetici diversi per 2 settimane. Un gruppo assumeva una colazione a base di latte scremato e fiocchi di cereali e altri due pasti come da precedenti abitudini delle pazienti, l’altro ha saltato la colazione e ha consumato oltre a due pasti quotidiani anche due snack durante il giorno. Dopo le due settimane, i ricercatori hanno misurato il metabolismo delle pazienti: le ragazze del secondo gruppo, quello senza colazione, avevano livelli di colesterolo LDL insolitamente alti e mostravano una scarsa reattività all’insulina, entrambi fattori di rischio per il diabete 2 e per le patologie cardiovascolari. In più, saltare la colazione aveva indotto le pazienti del secondo gruppo a mangiare di più durante la gironata, causando un maggiore introito di calorie e un conseguente aumento di peso (quest’ultimo però non misurabile data la breve durata dello studio).

“Sono necessari altri studi sull’impatto della colazione sul peso corporeo”, spiega Farshchi, “ma l’importanza di questo studio sta nell’aver scoperto che se si inizia la giornata con uno snack a metà mattinata e non con una colazione il metabolismo viene gravemente alterato”.

Fonte: American Journal of Clinical Nutrition, 2005.

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Colesterolo alto, colpa anche dei geni

Se nonostante dieta e attività fisica faticate a tenere a bada il colesterolo cattivo, non demordete, la strada per restare in salute è quella giusta ma, forse, i vostri geni remano contro. Infatti un gruppo di ricerca coordinato da Paul Williams della Berkeley Lab’s Life Sciences Division ha scoperto che i geni giocano un ruolo di primaria importanza nel regolare il colesterolo cattivo nel sangue e che, quindi, alcuni individui devono faticare più di altri semplicemente in virtù del fatto che sono più suscettibili all’ipercolesterolemia. Lo studio, condotto in California su coppie di gemelli identici presso il Dipartimento Energy’s Lawrence Berkeley National Laboratory e il Children’s Hospital Oakland Research Institute (CHORI), è stato reso noto sull’American Journal of Clinical Nutrition.

L’indagine sembra offrire un motivo al fatto che alcuni di noi hanno la sciagura di avere il colesterolo alto pur stando perennemente attenti a ciò che mangiano mentre altri, fortunatissimi, possono concedersi a tavola qualche strappo alla regola in più, senza risentirne almeno in termini di grassi cattivi accumulati nel proprio corpo. I ricercatori hanno scelto di seguire 28 coppie di gemelli identici, quindi con identico assetto genetico, ma in cui i due fratelli avessero differenti stili di vita, per valutare il peso di geni e comportamenti sui livelli di lipoproteine a bassa densità (LDL) che costituiscono il colesterolo cattivo, deleterio per la salute cardiovascolare.

Gli esperti hanno sottoposto i volontari a due tipi di dieta alternativamente, una a basso contenuto di grassi (che costituivano il 20 per cento dell’introito calorico), l’altra ad alto contenuto di grassi (pari al 40 per cento delle calorie assunte). Gli esperti hanno visto che passando dalla prima alla seconda dieta il livello di colesterolo saliva inevitabilmente per tutte le coppie di gemelli ma in modo diverso da coppia a coppia. Inoltre nei due fratelli i cambiamenti di colesterolemia dieta-dipendenti erano identici, segno che a regolarli sono i geni e non lo stile di vita dei fratelli stessi. Su quali siano i geni coinvolti ancora si sa molto poco, hanno ammesso gli esperti, esortando tutti a non abbandonare le sane abitudini, dieta sana e sport ed eventuali trattamenti medici consigliati dallo specialista, tutti comportamenti che rimangono le uniche armi valide contro l’ipercolesterolemia.

Fonte: Williams PT et al. Gene-Nutrienti interactions. Am J Clinical Nutrition 2005;82:181-7.

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Arriva dalla Preistoria la dieta anti-colesterolo

Come combattere l’epidemia di obesità, il boom di patologie cardiovascolari e l’enorme diffusione del diabete, tutte causate dalla super-alimentazione dell’uomo moderno? Tornando alle radici, cercando di capire per quale dieta è costruito l’uomo. Lo ha fatto un team di nutrizionisti canadesi, che ha provato a riscoprire la dieta tipica delle prime fasi dell’evoluzione umana in uno studio pubblicato dalla prestigiosa rivista Epidemiology.

Il corpo umano è costruito per funzionare con un regime alimentare del tutto diverso da quello adottato dall’uomo moderno, almeno nei Paesi occidentali. In un’era di inattività fisica e di abbondanza alimentare, l’obesità sta assumendo proporzioni epidemiche. Siamo programmati per mantenere costanti i livelli di glucosio nel sangue anche in periodi di grave carenza alimentare, ma il continuo introito di calorie manda in tilt il metabolismo causando l’esponenziale aumento di casi di diabete. E infine siamo programmati per sintetizzare colesterolo in un ambiente a basso introito calorico e in sostanziale assenza di grassi saturi e colesterolo alimentare, ma la dieta occidentale, ad alto contenuto lipidico, sta causando un vero boom delle patologie cardiovascolari.

Per la maggior parte del loro percorso evolutivo, i primati hanno fatto riferimento ad una dieta vegetariana ricca di fibre, povera di grassi saturi, carente di colesterolo, con carboidrati prevalentemente assunti in forma diluita, ricca in micronutrienti e sostanze fitochimiche e a bassa densità energetica complessiva. Quando l’Homo abilis abbandonò la giungla e colonizzò la savana, circa 2,5 milioni di anni fa, le sue abitudini alimentari dovettero necessariamente mutare, e si suppone che una delle nuove strategie adottate fosse quella di mettersi sulla scia dei grandi carnivori per cibarsi delle carogne lasciate dietro di loro, in competizione con gli sciacalli. Si suppone anche che l’abilità di costruire oggetti appuntiti derivasse dalla necessità di forare crani e ossa lunghe delle carogne per potersi cibare di midollo e cervello, ricchi di proteine e grassi.

Con l’ulteriore sviluppo della manualità, la caccia su larga scala diventò possibile, e l’introito di carne aumentò esponenzialmente. La rivoluzione agricola di 10.000 anni fa introdusse una ulteriore novità nella dieta umana, con la massiccia introduzione di cereali e quindi di amido. A questo punto fece la sua comparsa il diabete, descritto per la prima volta dagli Egizi. La Rivoluzione Industriale e la capacità di conservazione pressoché illimitata dei cibi a seguito dello sfruttamento dell’energia elettrica e dai progressi in Chimica hanno portato ad una enorme abbondanza di cibo per l’Homo sapiens, senza che il suo/nostro corredo genetico abbia avuto modo di adattarsi al cambiamento.

I ricercatori del Department of Medicine and Nutritional Sciences dell’University of Toronto guidati da David Jenkins hanno messo a punto una dieta modellata sulla situazione che si presume ci fosse nel Miocene, da 4 a 7 milioni di anni fa (vegetali a foglia larga, mandorle, nocciole, frutta) e hanno comparato i suoi effetti sul quadro lipidico generale con quelli ottenuti grazie ad altre due diete, una ‘Neolitica’ (cereali, legumi, latticini) e una terapeutica moderna (NCEP step 2: a basso introito di grassi saturi e alto introito di vegetali). La caratteristica peculiare della dieta Miocene è il consumo di cibi molto voluminosi (in media 5,5 kg di cibo quotidiano per un individuo di 70 kg), che ha fatto aumentare il tempo dedicato ai pasti (in media 8 ore al giorno). Dopo 2 settimane, i livelli di colesterolo LDL sono risultati minori del 33 per cento nei soggetti alimentati con dieta Miocene, del 23 per cento nei soggetti alimentati con dieta Neolitica e del 7 per cento nei soggetti alimentati con dieta NCEP step 2. dato ancora più significativo, il rapporto LDL/HDL è diminuito rispettivamente del 24, 12 e 5 per cento. La dieta Miocene ha avuto un impatto sul quadro lipidico generale equiparabile a quello di una terapia a base di statine. In relazione al problema dell’obesità, il volume imponente del cibo della dieta Miocene è una chiara indicazione dell’importanza del volume del cibo ingerito nel controllo dell’appetito. L’attività fisica rimane un fattore-chiave.

Fonte: Jenkins DJA, Kendall CWC. The garden of Eden – Plant-based diets, the genetic drive to store fat and conserve cholesterol, and implications for epidemiology in the 21st century. Epidemiology 2006; 17(2):128-30.

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Cancro alla prostata, la colpa è anche del colesterolo alto

Il tumore alla prostata potrebbe essere legato al colesterolo alto. È quanto dimostrato in modo diretto per la prima volta da ricercatori italiani dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano. Questo legame diretto tra ipercolesterolemia e cancro alla prostata suggerisce che le statine, i farmaci riduci-colesterolo, potrebbero essere un mezzo preventivo contro tale neoplasia. Lo studio, condotto dall’epidemiologa Francesca Bravi, è stato pubblicato sugli Annals of Oncology.

Dalla ricerca è emersa per la prima volta in assoluto pure l’esistenza di un nesso diretto tra cancro e calcoli biliari, che però a loro volta potrebbero dipendere dal colesterolo alto. Gli epidemiologi hanno considerato un campione di individui raccolto tra 1991 e 2002 in ospedali di quattro differenti aree italiane: 1294 uomini sotto i 75 anni e con diagnosi di cancro alla prostata e un gruppo di controllo di 1451 coetanei ricoverati negli stessi ospedali per diverse patologie ma non malati di cancro alla prostata.

Tutto il campione è stato sottoposto a vari colloqui e personale qualificato ha somministrato loro diversi questionari per raccogliere dati sul loro stato di salute e su eventuali patologie di cui soffrivano o avevano sofferto in passato. Gli epidemiologi hanno centrato l’attenzione su dieci diverse condizioni mediche di cui potevano aver sofferto i partecipanti, tra cui appunto l’ipercolesterolemia e i calcoli biliari. Elaborando tutti i dati raccolti è emersa la forte associazione tra cancro alla prostata e ipercolesterolemia.

In particolare è emerso che la probabilità di aver sofferto in passato di colesterolo alto tra gli individui malati di tumore era del 50 per cento più alta rispetto ai maschi del gruppo di controllo. Inoltre emerge l’importanza dell’età in cui i pazienti avevano una condizione di colesterolo alto. Infatti l’associazione tra ipercolesterolemia e tumore alla prostata è apparsa molto più marcata quando il colesterolo alto era stato evidenziato nei pazienti prima dei 50 anni o dopo i 65. Tra le dieci condizioni cliniche considerate è emersa anche l’associazione tra calcoli biliari e tumore: i pazienti con il cancro avevano sofferto di calcoli biliari con probabilità del 26 più alta rispetto al gruppo di controllo.

Questa ulteriore associazione, anche se statisticamente non così significativa, avvalora la tesi degli epidemiologi milanesi: poiché il cancro alla prostata dipende dagli ormoni sessuali maschili, gli androgeni, e poiché questi ormoni sono sintetizzati proprio a partire dal colesterolo, è possibile che l’ipercolesterolemia si traduca in un aumento eccessivo di androgeni che favorisce la genesi del cancro. Questa tesi è confortata dal fatto che i calcoli biliari sono a loro volta legati al colesterolo alto e sono spesso composti di colesterolo: la relazione diretta trovata tra calcoli biliari e cancro alla prostata si spiegherebbe quindi a sua volta col rapporto tra colesterolo, androgeni e cancro.

Questa associazione così forte è importante non solo perché conferma l’impatto degli stili di vita sul rischio cancro, ma anche perché suggerisce, come già dimostrato in via preliminare con studi di laboratorio, che le statine, i farmaci contro il colesterolo alto più prescritti, potrebbero avere efficacia preventiva contro il cancro alla prostata.

Fonte: Self-reported history of hypercholesterolaemia and gallstones and the risk of prostate cancer. Annals of Oncology. doi:10.1093/annonc/mdi080.

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Colesterolo LDL, il nemico pubblico numero 1

Abitudine al fumo, vita sedentaria, dieta sbagliata, stress, ma anche diabete e pressione arteriosa elevata: sono molteplici le condizioni che provocano malattia cardiovascolare, mettendo a rischio le arterie e l’intero apparato cardiovascolare. Milioni di italiani convivono con uno o più fattori di rischio cardiovascolare, sempre e anche d’estate. Il consiglio del medico è fondamentale perché non basta riposare e staccare, per liberarsene. La pausa dallo stress, l’occasione per rimettersi in forma, spesso non sono sufficienti per ridurre il rischio cardiovascolare.

Gli italiani hanno in media livelli ematici troppo alti di colesterolo: il 21 per cento degli uomini e il 25 per cento delle donne hanno un valore di colesterolemia totale uguale o superiore a 240 mg/dl.
“Sono quasi 5 milioni le persone che soffrono di diabete o che sono comunque a rischio, circa 15 milioni hanno la pressione arteriosa troppo elevata, e addirittura 30 milioni sono più o meno in sovrappeso. Infine, il 34 per cento degli uomini e il 46 per cento delle donne fanno vita sedentaria e non svolgono alcuna attività fisica durante il tempo libero”, sottolinea Alberto Margonato, Direttore Unità Operativa di Cardiologia IRCC Ospedale S. Raffaele-Milano.

Fattore di rischio non vuol dire certezza e, per fortuna, la maggior parte di tali fattori si può modificare con comportamenti adeguati ed eventualmente con una corretta terapia farmacologica. E’ importante intervenire, perché la malattia cardiovascolare colpisce ogni anno oltre 100.000 uomini e 130.000 donne in Italia. Più di 130.000 persone subiscono un infarto miocardico acuto e oltre 90.000 vengono colpiti da un ictus cerebrale. Tutte patologie con un denominatore comune: l’accumulo di colesterolo nel sangue e sulla parete interna delle arterie.

Il colesterolo è definito il “silent killer”. Soprattutto, il rapporto tra colesterolo LDL e HDL è il primo fra tutti i fattori di rischio che è necessario correggere. Controbilanciare i livelli di entrambi i tipi di colesterolo riduce il rischio cardiovascolare. Quando la dieta e l’esercizio fisico non bastano, una statina può aiutare a far raggiungere il livello ottimale di colesterolo “cattivo” LDL.

“In particolare i pazienti maggiormente esposti al rischio cardiovascolare: diabetici, cardiopatici, ipertesi, anziani, obesi su consiglio del medico necessitano di una terapia che sia in grado di aumentare il livello di colesterolo HDL in modo da ridurre l’accumulo di colesterolo LDL, diminuendone il deposito sulle pareti arteriose”, conferma Franco Bernini, Professore Ordinario di Farmacologia al Dipartimento di Scienze Farmacologiche dell’Università di Parma.

Secondo le più recenti linee-guida statunitensi, per i pazienti a rischio cardiovascolare moderatamente alto, il colesterolo totale dev’essere mantenuto su livelli inferiori a 190 mg/dL, il colesterolo LDL su valori inferiori a 100 mg/dL e quello di HDL su valori superiori a 40 mg/dL. In Italia, il 62 per cento degli uomini e il 61 per cento delle donne hanno un livello elevato di LDL (cioè maggiore di 115 mg/dl). Il 70 per cento dei pazienti a rischio cardiovascolare non riesce a raggiungere i livelli prescritti di colesterolemia.

Ai pazienti che hanno almeno un fattore di rischio cardiovascolare, è bene non dimenticare di consigliare una serie di norme igieniche e di comportamento: “Fare attività fisica aerobica a media intensità, usare comunque prudenza e non sottoporsi a sforzi bruschi che potrebbero danneggiare il cuore, evitare occasioni di stress, liberarsi dell’abitudine al fumo di sigaretta, non trascurare di comprendere nella dieta il pesce azzurro, ricordare di controllare la pressione arteriosa prima di scegliere se andare o meno in montagna (valori elevati di pressione arteriosa aumentano il rischio in alta quota). Sono buone norme che il paziente deve sempre seguire su consiglio del proprio medico curante”, conclude Stefano Genovese, Diabetologo dell’Ospedale Humanitas di Rozzano-Milano.

Fonte: Ufficio stampa AstraZeneca 2006.
Istituto Supertiore di Sanità
Grundy SM et al: NCEP Report; Circulation. 2004; 110-227-239
Olsson AG Am Heart J. 2002; 144:1044-1051
Jones et al Am J Cardiol 2003 + Olsson Am J Cardiol 2001: 86-504-504

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Colesterolo e donne: nemico sottovalutato

Le donne italiane non ritengono il colesterolo elevato fra i principali fattori di rischio per il cuore, ma sono comunque convinte che il suo valore vada controllato per evitare malattie cardiovascolari. Patologie che, tuttavia, non rientrano fra i principali timori del gentil sesso. I dati emergono da un’indagine condotta da Datanalysis – istituto di ricerca nell’area della salute – su un campione di mille donne, dai 50 anni in su, intervistate telefonicamente. L’indagine realizzata in occasione del XIV Simposio Internazionale sull’Aterosclerosi, in corso a Roma fino al 22 giugno, ha confermato un dato già noto. “Le differenze fra uomo e donna esistono soprattutto in relazione ai sintomi, i cosiddetti campanelli di allarme”, sottolinea il professor Cesare Sirtori, presidente del congresso. “Il fatto è particolarmente preoccupante perché spesso all’osservazione dello specialista arrivano donne con infarti mai diagnosticati o già affette da scompenso cardiaco”.

Più dell’infarto (ne ha paura solo il 12,7 per cento delle intervistate, soprattutto nel Nord Italia) le donne over 50 sono preoccupate dal tumore del seno, che resta il timore principale per il 33,6 per cento di esse, molte delle quali residenti nel Sud Italia e nelle isole. Seguono l’AIDS-HIV (12,3 per cento) e l’ictus (12 per cento, con prevalenza del Nord Italia). Quando poi si indaga da dove, a loro giudizio, vengano i rischi per il cuore, le italiane non hanno dubbi: la causa primaria dei disturbi all’apparato cardiovascolare è da imputare inequivocabilmente alla pressione alta (49,7 per cento delle intervistate). Risulta invece marginale il timore dal colesterolo elevato: solo il 10,5 per cento lo reputa un fattore di pericolo. Più considerato il fumo (con il 20 per cento), meno l’alimentazione scorretta (9,7per cento).

Due donne su tre, tuttavia, pensano che controllare periodicamente i valori del colesterolo contribuisca a prevenire sia infarto che ictus. Ma da chi ottengono informazioni sul tema le over 50 italiane? In primo luogo il 33,1 per cento delle intervistate, con uniforme distribuzione nazionale, dice di apprendere dal medico di fiducia tutto quello che c’è da sapere sul colesterolo. Seguono gli specialisti (20,9 per cento), i quotidiani e le riviste (19,3 per cento), i familiari e le amiche (20,5 per cento). Per le donne italiane ascoltate da Datanalysis, i problemi legati al cuore restano, nonostante l’utilità dei controlli, un timore secondario. Aspetto che trova giustificazione nel fatto che il 51 per cento del campione è dell’idea che queste patologie causino la morte più frequentemente negli uomini. Il 24,8 per cento afferma, al contrario, che ciò avviene nelle donne, mentre, per il 20,3 per cento non vi è alcuna differenza. Le differenze fra gli uomini e le donne esistono invece, per le intervistate, relativamente ai sintomi, ai cosiddetti campanelli di allarme.

“Il fatto è particolarmente preoccupante”, afferma il professor Sirtori, “perché per le donne i campanelli d’allarme – cioè i sintomi – sono meno avvertiti. Capita quindi allo specialista di vedere donne già colpite da infarto che rischiano per questo motivo di andare incontro a scompenso o altri danni vascolari. Negli uomini il 20 per cento, nelle donne il 30 per cento.” Ma le conseguenze sono gravi. “Negli Stati Uniti la dottoressa Viola Vaccarino ha recentemente pubblicato sul New England Journal of Medicine una ricerca che ha evidenziato che i medici, in generale, ascoltano meno le descrizioni dei sintomi delle donne – continua Sirtori – e per questo il trattamento farmacologico prescritto loro è meno accurato. Le donne infatti vengono meno frequentemente sottoposte ad angiografia e altri esami per accertare le patologie”.

L’indagine di Datanalysis focalizza la percezione del rischio cardiovascolare dopo la menopausa. Correttamente, aumenta per oltre la metà del campione (51,3 per cento); consistenti però i gruppi di donne secondo le quali il pericolo, al contrario, diminuisce (il 10,7 per cento), rimane uguale (25,8 per cento), o che non sanno (12,2 per cento).

Fonte: Indagine Datanalysis
XIV Simposio Internazionale sull’Aterosclerosi, Fiera di Roma 18-22 giugno

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Colesterolo: un celebre sconosciuto

La malattia cardiovascolare uccide più di ogni altra malattia al mondo: più dell’HIV e di tutte le forme di cancro messe insieme. La malattia cardiovascolare non solo uccide, spesso rende invalidi, debilita e riduce la qualità della vita più di qualunque altra patologia.

I principali fattori di rischio sono l’obesità, il fumo, la pressione alta e, soprattutto, il colesterolo elevato. Tuttavia, nonostante la sua pericolosità, la consapevolezza, la comprensione e la conoscenza dei rischi associati ad alti livelli di colesterolo sono molto scarse.
Per comprendere le ragioni di questa scorretta percezione del rischio è stato condotto lo Studio “From the Heart” che ha coinvolto diversi paesi tra cui il Belgio, il Brasile, la Francia, il Messico, il Regno Unito. È questo il primo studio in cui a pazienti con diagnosi di colesterolo elevato e ai medici che li hanno presi in cura sono state sottoposte domande generali a proposito dei loro atteggiamenti rispetto alla cura farmacologica e dei loro stili di vita.

I risultati di questo studio, effettuato da Adelphi International Research e di cui si è discusso al XIV International Symposium on Atherosclerosis a Roma, hanno evidenziato che molti pazienti non sono rimasti scioccati né turbati quando è stato loro diagnosticato un elevato tasso di colesterolo. Non solo: sebbene il 60 per cento dei pazienti avesse sentito parlare rispettivamente di colesterolo cattivo (LDL) e buono (HDL), il 74 per cento non è stato in grado di indicare l’infarto come conseguenza dell’ipercolesterolemia.

L’errore nella comprensione del rischio sembra imputabile a problemi di comunicazione medico paziente. Infatti lo studio ha evidenziato che sebbene il 99 per cento dei medici abbiano dichiarato che è loro prassi informare i pazienti sul loro tasso di colesterolo, il 52 per cento dei pazienti dichiara di non essere stato informato o di non ricordare il proprio livello di colesterolo. È evidente che ci sono delle informazioni che vengono perse a danno della salute dei pazienti che richiedono uno sforzo maggiore sia da parte dei medici che da parte dei pazienti.

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Colesterolo alto: quando si possono evitare i farmaci?

Sono circa 13 milioni gli italiani con troppi grassi nel sangue. Il 25 per cento della popolazione femminile ed il 21 per cento degli uomini. Questi i dati discussi in occasione della giornata conclusiva del XX Congresso Nazionale della Società Italiana per lo Studio dell’Aterosclerosi, tenutosi a Bologna. Il colesterolo alto è uno dei principali, e più facilmente riscontrabili fattori di rischio cardiovascolare. Secondo gli esperti una buona parte delle persone che soffre di ipercolesterolemia, tutti quelli soggetti a prevenzione primaria, non necessita di interventi farmacologici, ma di autoregolarsi assumendo stili di vita più sani. Ciò significa in primis controllo dell’alimentazione con diete a basso contenuto di grassi ed attività fisica regolare. Non più di mezz’ora al giorno di moto. Il controllo del colesterolo tramite stile di vita è tra l’altro l’unico a garantire l’aumento del colesterolo HDL (il cosiddetto colesterolo buono).

In tema di alimentazione si è parlato nelle ultime relazioni presentate di integratori alimentari, un valido aiuto di tipo non farmacologico al controllo dei livelli di colesterolo. I prodotti più validi sono basati sui fitosteroli, molecole vegetali contenute dagli olii vegetali, come l’olio d’oliva, di mais o di soia, ed ancora da frutta secca e dai legumi in genere.

La dottoressa Graziana Lupatelli, dell’équipe del professor Elmo Mannarino dell’Università di Perugia, dichiara: “Vista la bassa presenza di queste molecole in natura gli steroli sono stati addizionati ad una vasta gamma di alimenti, e tra i principali ricordiamo la margarina, lo yogurt ed il latte. Secondo i nostri studi l’assunzione di una quantità di steroli vegetali compresa fra 1 e 3 grammi al giorno per alcune settimane aiuta a ridurre il colesterolo. La riduzione testata dopo due settimane è compresa tra l’8 ed il 15 per cento, che è senza dubbio un ottimo risultato. In pratica gli steroli vegetali rimpiazzano il colesterolo nelle micelle e ne riducono l’assorbimento intestinale: impegnando i recettori specifici del colesterolo. Gli steroli vegetali fanno in modo che il colesterolo, anziché essere assorbito, venga eliminato con le feci. Per far capire alle persone, con un semplice esempio, assumere 1,6 grammi di steroli è come consumare 7 kg di arance. Il consiglio è di assumerli subito dopo i pasti principali. E la nostra principale raccomandazione è quella di non pensare di poter sostituire con questi prodotti una dieta corretta a basso contenuto di colesterolo. Chi prende lo yogurt o il latte arricchito di fitosteroli dopo non può pensare di “rimpinzarsi” di cibi come burro o patate fritte, ricchi di grassi saturi che vanno assolutamente evitati.”

Fonte: XX Convegno Nazionale della Società Italiana per lo studio dell’Aterosclerosi. Bologna,16-19 novembre 2006.

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Novità nella cura dell’ipercolesterolemia familiare

L’inibizione di una proteina di trasporto dei trigliceridi potrebbe essere la chiave per una nuova terapia contro l’ipercolesterolemia familiare. L’inibitore testato è il BMS-201038, nome in codice di quello che potrebbe essere un farmaco sul cui utilizzo si baserebbe la nuova terapia. Lo sostiene un lavoro pubblicato sull’ultimo numero della rivista New England Journal of Medicine. Secondo quanto riportato dagli autori del lavoro, la terapia con l’inibitore BMS-201038 ha ridotto del 51 per cento la concentrazione di LDL nel sangue dei soggetti osservati.

Esistono due principali forme di ipercolesterolemia familiare: quella eterozigote e quella omozigote. Nel primo caso il gene che codifica per il recettore del colesterolo LDL, la forma del colesterolo che viene assorbito dalle cellule e che se è in eccesso si deposita sulle pareti delle arterie e per questo viene definito “cattivo”, è presente in un’unica copia funzionante e quindi presente in concentrazioni più basse. Per questo motivo la concentrazione di colesterolo nel sangue tende ad aumentare. Nel caso dell’ipercolesterolemia familiare omozigote il recettore del colesterolo LDL non si esprime; i soggetti affetti da questa forma di ipercolesterolemia sono costretti alla rimozione extracorporea delle LDL, di solito sviluppano la malattia dopo i venti anni e, se non si sottopongono a cure, non sopravvivono oltre i trent’anni.

I pazienti affetti da questa patologia ereditaria hanno valori di colesterolo nel sangue che variano dai 220 ai 550 mg/dl nel caso della forma eterozigote; per la forma omozigote si registrano concentrazioni di LDL che vanno dai 650 ai 1000 mg/dl.
“Per coloro che sono affetti da ipercolesterolemia familiare sarebbe veramente una svolta”, ha dichiarato Daniel Rader, uno degli autori dello studio.

Fonte: Cuchel M et al. Inibition of microsomal triglyceride transfer protein in familial hypercolesterolemia. NEJM 2007;356:148-56.

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